ARTE a cura di Elham M. Aghili
Data di pubblicazione: 10.09.2025
Dreamscape
Paesaggio in transizione tra sogno, natura e materia
2021-2025
Intreccio e ricamo
Filati tessili appartenenti agli scarti e gli errori di produzione aziendale, filo di ferro
Nel cuore dello spazio architettonico prende forma un paesaggio vivo, vibrante, sospeso tra i confini del visibile e dell’immaginario. Un’opera che non rappresenta ma diventa: un giardino impossibile, una barriera corallina terrestre, un ecosistema in metamorfosi perpetua. Nulla è fisso. Tutto muta, fiorisce, si dissolve, riemerge in nuove forme. La metamorfosi è il linguaggio stesso dell’opera.
L'installazione nasce dall’ibridazione spontanea tra ambienti terrestri e marini, botanici e animali, micro e macrocosmi. Le forme emergono da un terreno che pare pulsare di vita: radici dai colori incandescenti si intrecciano e si propagano come vene, nutrienti di un organismo collettivo. Da questo suolo emergono strutture che evocano tanto fiori quanto anemoni, tanto coralli quanto infiorescenze tropicali.
Meduse filiformi galleggiano come pensieri in sospensione, mentre petali rigidi assumono posture tentacolari. Nulla è classificabile in modo netto: ogni elemento è una creatura ibrida, che sfida la tassonomia e l’abitudine visiva. Il giardino e la barriera corallina diventano un unico corpo: un territorio onirico in mutazione.
Tutto è costruito attraverso il filo. Un materiale umile, flessibile, tattile, che nella sua ripetizione modulare genera forme complesse, quasi cellulari. Ogni forma è fatta di migliaia di gesti ripetuti, annodati, stratificati: un tempo lento, artigianale, quasi rituale, che infonde alle forme una memoria corporea.
Il filo qui non è solo materiale costruttivo, ma veicolo di metamorfosi: assume la forma di radice, cellula, corallo, tentacolo, fiore. Le fibre si comportano come tessuti viventi, che crescono e si modificano, come se ogni elemento fosse colto nel mezzo di una trasformazione già iniziata, ma mai conclusa.
L’opera non si limita a evocare la natura: la ricrea. Ma è una natura trasfigurata, onirica, in cui le leggi fisiche e biologiche vengono sospese per lasciare spazio all’intuizione, alla possibilità, alla meraviglia. Si tratta di un ecosistema immaginario, dove le specie non sono descritte ma inventate, dove ogni elemento esiste per essere attraversato dal cambiamento.
Il paesaggio che ne nasce è insieme familiare ed estraneo: riconosciamo strutture floreali, forme marine, tessiture vegetali, ma nessuna di esse è perfettamente aderente a ciò che conosciamo. È come se l’opera mettesse in scena un futuro post‑naturale o un ricordo primordiale, un luogo prima delle classificazioni, o dopo il collasso delle distinzioni.
La metamorfosi, qui, è anche un gesto culturale. Il recupero di scarti tessili, la trasformazione della materia dimenticata in bellezza viva, testimonia un processo di rigenerazione, di rivolta silenziosa contro l’effimero e lo spreco. Ma è anche una riflessione più ampia sull’identità, sulla trasformazione dei corpi, sulla possibilità di essere altro da sé, e di far pace con l’ibrido, il mutevole, l’intermedio.
Il giardino‑barriera che prende forma non è solo un luogo estetico, ma uno spazio di resistenza e rinascita, dove ciò che è molteplice, mutante e non definito diventa potente e necessario.
Opera realizzata con l'upcycling dei filati di scarto di VIMAR1991